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CONTATTI
1 l'Italia
2 'a piccerella
3 ‘a gatta
‘a gatta, pe’ gghji’ ‘e pressa, facette ‘e figlie cecate.
La gatta frettolosa fece i figli ciechi.
‘ gatta, quanno nun po’ arrivà ‘o llardo, dice ca féte.
La gatta, quando non può arrivare al lardo, dice che puzza.
‘a gatta, quanno sent’ addore d’ ‘o pesce, maccarune nun ne vo’ cchiù.
La gatta, quando sente l’odore del pesce, non vuole più maccheroni.
‘a gatta d’ ‘o studente: magna ‘nu chilo e pesa tre quarte.
La gatta dello studente, mangia un kilo e pesa sette etti e mezzo.
4 'o puorco
5 'a mano
6 chella ca guarda 'nterra
In numerologia, il 6 è il numero dell'armonia e della bellezza.
Rappresenta il perfetto equilibrio e l'amore assoluto.
Per i marinai del mondo classico il 6 era un numero fortunato che li salvaguardava dalla tempesta e dal naufragio.
7 'o vasetto
L'arte della porcellana: Real Fabbrica di Capodimonte.
Le porcellane di Capodimonte nascono nel 1743, quando, Carlo III di Borbone decide di costruire a Napoli una fabbrica di porcellane, in linea con alcune delle più prestigiose corti europee, che già ne possedevano una. L’edificio che ospiterà la manifattura, situato nel bosco di Capodimonte vicino alla nuova residenza reale, viene trasformato in tre mesi dall’architetto napoletano Ferdinando Sanfelice. Per ovviare all’assenza di caolino, si utilizzano terre provenienti dalla Calabria, con le quali si ottiene una porcellana a pasta tenera, di qualità notevole: questa pasta “tenera”, di colore bianco traslucido, permette alla vernice di copertura di assorbire la decorazione, con un effetto di “sottovetro”. Pur ispirandosi alla manifattura di Meissen, gli oggetti realizzati a Capodimonte (contrassegnati dal giglio azzurro) raggiungono una forma artistica autonoma, di grande eleganza e raffinatezza; la produzione plastica di Capodimonte è di grande originalità e ottiene fama europea. Nel 1759, Carlo di Borbone, richiamato in Spagna alla morte del fratello Ferdinando VI per ereditare il trono, lascia a Napoli la raccolta Farnese ma porta con sé attrezzature, forme, pasta e alcuni artisti e artigiani, dando ordine di rendere inutilizzabili i macchinari che è costretto ad abbandonare.
Dopo la chiusura di Capodimonte, Napoli rimane senza una fabbrica di porcellana per circa dodici anni, ossia fin quando il figlio di Carlo di Borbone, il re Ferdinando VI, raggiunta la maggiore età, non decide di riaprire una manifattura di porcellane, prima a Portici e poi, nel 1773, nel Palazzo Reale di Napoli. Le porcellane della Real Fabbrica Ferdinandea (contrassegnate da una lettera “N” azzurra coronata).
Nel 1806, la Real Fabbrica cessa definitivamente la propria attività ma le numerose maestranze sono in grado di continuare ad esercitare autonomamente l’antica arte. Durante tutto il XIX secolo, infatti, i ceramisti napoletani organizzati in gruppi familiari, danno vita a grandi e meno grandi manifatture o anche a semplici piccoli laboratori. Dagli Anni '50 ad oggi i laboratori si sono moltiplicati e all'antica tradizione degli oggetti di uso comune si sono affiancate realizzazioni artistiche di grande successo come vasellame, servizi per la tavola, composizioni floreali, pannelli murali, in una ideale continuazione della Real Fabbrica settecentesca.
8 ‘a Maronna
Il napoletano è una vera e propria lingua e come tale possiede locuzioni , intraducibili alla lettera, che non sono proverbi, ma modi dire, manifestazioni di saggezza popolare.
La locuzione napoletana figlio d’’a madonna era utilizzata per qualificare i trovatelli affidati alla chiesa dell’Annunziata a Napoli.
Alla chiesa fu annesso un ospizio per i bambini abbandonati che venivano deposti nella ruota, che girava al suono del campanello per accogliere un nuovo ospite, spesso avvolto in miseri stracci, a cui veniva dato il nome di Esposito.
Poiché si trattava di figli illegittimi, la gente considerava la Vergine Annunziata quasi una madre adottiva.
9 ‘a figliata
La figliata a Torre del Greco. L’antico rito della fecondità era una particolare iniziazione di una femminilità ricreata, che sottendeva un antico rito alchemico filosofico che veniva eseguito nei segreti festeggiamenti per l’avvenuta nascita del Rebis ( la cosa doppia ) il maschio-femmina. Questo rituale prevedeva la presenza di un ermafrodito perché questa creatura conteneva i due elementi fusi insieme dalla natura stessa . La cultura greca divinizzava l’ermafrodito perché figlio di Afrodite ( la Bellezza ) e Ermes ( la Forza ).
Tale rito antico ha lasciato una traccia in un rituale che ancora oggi si svolge segretamente alle pendici del Vesuvio a Torre del Greco nella figliata d’’e femminielli .
Il femminiello disteso sul lettino si cala totalmente nella sofferenza del parto . Dal corpo fuoriesce una bambola-rebis tra la felicità delle parenti che hanno accompagnato il travaglio con l’antico lamento ritmato del trivolo battuto cioè dolore picchiato.
Alla fine il femminiello che ha compiuto il rito iniziatico della figliata, viene accolto nella segreta comunità degli ambigui venditori di sesso.
10 ‘e fasule
PASTA e FAGIOLI (alla napoletana)
• fagioli
• peperoncino rosso macinato grosso a piacere
• mezza lattina di pomodori pelati (di solito le confezioni sono da 400 g non sgocciolati)
• due spicchi di aglio
• un cucchiaino di pomodoro concentrato (quello in tubetto va bene)
• 1 gambetto di sedano
• 300 gr. di pasta mista (esistono confezioni apposite, oppure mescolate voi tubetti, spaghetti, linguine spezzate etc.)
Fate soffriggere in un tegame con l'olio, il sedano tagliato a tocchettini insieme all'aglio. Quando l'aglio sarà imbiondito levatelo dalla padella e aggiungete i pelati, il pomodoro concentrato, il sale, il peperoncino rosso e un bicchiere d'acqua. Mescolate e fate cuocere per dieci minuti a fuoco moderato.
Versate quindi il contenuto del tegame (pomodoro etc.) nella pentola in cui avete fatto cuocere precedentemente i fagioli e fate cuocere ancora per 10 minuti a fuoco lento. Se si preferisce si possono frullare i fagioli in modo da ottenere quasi una crema.
Versare quindi la pasta e se necessario aggiungete dell'acqua bollente. Spegnete il fuoco dopo dieci minuti di bollitura e attendente altri dieci minuti prima di servire nei piatti.
La pasta e fagioli è ottima anche fredda e il giorno dopo. Conservatela in frigorifero.
11 ‘e surice
Il napoletano è una vera e propria lingua e come tale possiede locuzioni , intraducibili alla lettera, che non sono proverbi, ma modi dire, manifestazioni di saggezza popolare.
Fa’ canta’ ‘e sùrice ‘int’ ‘o tiano si dice che vi riesca chi abbia la capacità di ottenere i risultati desiderati.
Il destinatario di tale locuzione è talmente abile che riesce a far cantare i topi caduti in pentola.
L’accostamento tra topi e tegame si trova anche nella locuzione munzù è gghiuta ‘a zoccola ‘int’ ‘o rraù con la quale si vuole dileggiare quanti si atteggiano a grandi cuochi.. ( munzù deriva da monsieur )
Ancora un’altra locuzione recita invece mannaggi’ ‘o suricillo e pezzanfosa! È l’imprecazione di chi vuole astenersi dal pronunciarne una più grave. Ci si riferisce ai sorci che sono ghiotti di olio e approfittano dello stoppaccio saltato per immergere la coda nel liquido contenuto nella damigiana rimasta priva di chiusura.
12 ‘e surdate
Il napoletano è una vera e propria lingua e come tale possiede locuzioni , intraducibili alla lettera, che non sono proverbi, ma modi dire, manifestazioni di saggezza popolare.
‘e surdate ‘e Giacchino si dice di quanti sono affetti da superbia e avarizia, i vizi capitali che caratterizzavano l’esercito muratiano.
13 S. Antonio
Il napoletano è una vera e propria lingua e come tale possiede locuzioni , intraducibili alla lettera, che non sono proverbi, ma modi dire, manifestazioni di saggezza popolare.
‘o ffuoco ‘e Sant’Antonio
Interessante elemento di fuoco legato al Santo sono i famosi “cippe ‘e Sant’Antuono”. Anticamente, la sera del 17 gennaio si bruciavano in tutti i vicoli napoletani vecchie sedie, tavoli sgangherati e tutte le suppellettili lignee delle quali ci si voleva disfare e che si accatastavano durante l’anno in attesa del “cippo” (falo’). L’origine pagana della pira è evidente e le ritualità del fuoco purificante (la distruzione di quanto non era più utile, di quanto era morto) acquistano la valenza scaramantica dell’esaltazione di un fenomeno antico: il calore del morbo temuto.
Anticamente i monaci speziali preparavano nella apoteca del loro convento annesso alla chiesa di S. Antonio Abbate una sorta di tintura che veniva usata per lenire le acute sofferenze dell’ herpes, chiamato, da sempre, a Napoli “ ‘o fuoco ‘e Sant’ Antuono”.
Un intero borgo “ ‘o Buvaro ‘e Sant’Antuono” fiorì in epoca angioina intorno alla chiesa e allo “spedale”, voluti nel 1370 dalla regina Giovanna I su una precedente chiesetta voluta nel 1313 da re Roberto il Saggio per i monaci Antoniani.
14 ‘o 'mbriaco
Dal punto di vista simbolico il 14 rappresenta la calma e la moderazione, il cambiamento e la lenta trasformazione, la serenità e la rassegnazione e bisogna prendere atto che il suo significato numerologico calza alla perfezione con la peculiarità di essere un numero "disinteressato", senza troppe velleità di possedere, al suo interno, arcani misteri.
15 'o guaglione
La parola GUAGLIONE probabilmente discende dal latino galione(m) giovane mozzo,servo sulle galee, nasce a Napoli e significa adolescente, ragazzo poco piú che decenne che abbia eletto per proprio regno la strada in cui si diverte, gioca e magari presta la sua piccola opera servizievole nell’intento di lucrare piccolo guadagno: ‘o guaglione d’’e servizie oppure ‘o ‘guaglione ‘e puteca quando si tratti di ragazzo avviato ad un lavoro piú o meno stabilmente retribuito. Pertanto con il termine guaglione a Napoli non si indica il bambino, che è detto propriamente: criaturo o anche ninno o nennillo e – quando si tratti di un bambino piccolissimo anche anema ‘e Ddio.
16 o' culo
17 'a disgrazzia
18 ‘o sanghe
IL SANGUE
Si racconta che nel 1389 il partito filo-avignonese per la festa dell’Assunta indisse grandi festeggiamenti per accogliere un ambasceria proveniente da Avignone.
In queste manifestazioni vi fu anche l’esposizione pubblica del sangue del Santo napoletano.
Il 17 agosto vi fu una grande processione per il miracolo mostrato da Gesù Cristo nel sangue di San Gennaro, conservato in un ampolla, che si era liquefatto come se fosse sgorgato quel giorno stesso dal corpo del santo.
Le reliquie di “sangue miracoloso”, cioè il sangue che da coagulato diventa liquido o viceversa o ancora che cambia colore nei giorni di festività del santo o dopo preghiere, sono conservate in due balsamari vitrei di piccole dimensioni e di foggia diversa, al Duomo di Napoli.
I rituali della liquefazione del sangue contenuto nelle ampolle rievocano con efficacia la protezione del nostro Santo Patrono Gennaro, la implorano ed una volta ottenuta, la riassicurano ora come allora.
19 S. Giuseppe
Il napoletano è una vera e propria lingua e come tale possiede locuzioni , intraducibili alla lettera, che non sono proverbi, ma modi dire, manifestazioni di saggezza popolare.
Sfruculia’ ‘a mazzarella ‘e san Giuseppe.
Si dice del provocatore, perché si ricorda un episodio accaduto un paio di secoli fa, quando al tenore Nicola Grimaldi fu venduta una delle tante false reliquie, di moda a quell’ epoca.
L’artista acquistò il preteso bastone di San Giuseppe e lo espose solennemente al pubblico. I visitatori tentavano spesso di prelevarlo o di portarne via almeno una scheggia, al punto che il cameriere di casa, di origine veneta, doveva ricordare, continuamente, di “no sfregolar la massarella de san Giosepe”.
20 'a festa
La festa di Piedigrotta
Le radici della Piedigrotta affondano nel passato più mistico e simbolico di Napoli.
Risalgono ai baccanali erotici, ai misteri lascivi che si celebravano di notte a ritmo di canti osceni intorno al simulacro del dio Priapo.
Non a caso la Piedigrotta è la più tumultuosa, gioconda e pittoresca delle feste popolari napoletane.
La festa napoletana per eccellenza.
Una festa legata visceralmente a due luoghi simbolo della città: la Cripta Neapolitana, in cui si celebravano le orge in onore di Priapo e il Santuario di Piedigrotta che sostituì, una volta cristianizzato il culto, la più antica cappella pagana situata nella grotta. Nella chiesa fu posta la statua della Vergine che, secondo la leggenda, fu trovata seguendo le indicazioni date in sogno dalla Madonna stessa a tre differenti persone, l’8 settembre del 1353.
E proprio quella statua divenne fulcro di un culto religioso molto sentito, tanto dal popolo quanto dai regnanti delle diverse dinastie, che fecero di quella chiesa ai piedi della grotta una meta costante di visite, cortei e cavalcate, a cominciare dagli Angioini e dagli Aragonesi per arrivare ai Borboni.
Proprio con i Borboni, la Piedigrotta raggiunge fulgore regale e ufficialità, con l’inserimento della grande parata militare che ne fa festa nazionale di Casa Borbone.
Resta comunque il Seicento il secolo d’avvio ufficiale della festa.
E’ in questo periodo che si sviluppa la pratica religiosa dei nove sabato di Santa Maria di Piedigrotta. Gruppi di devoti arrivano in pellegrinaggio, anche dalle zone limitrofe. Tanti a piedi scalzi, per chiedere un miracolo o per grazia ricevuta: donne desiderose di trovare marito o restare incinte, madri preoccupate per i propri figli lontani in mare, marinai grati per pericoli scampati. Per i primi anni la festa si celebra nella grotta, in seguito si allarga alla Villa Comunale. Si prega, si mangia, si canta, si balla. E’ un inno alla vita, insomma, prima dell’arrivo dell’inverno.
Nell’Ottocento, dopo la caduta dei Borbone, dalla festa scompaiono le sfilate militari che per circa due secoli ne avevano disegnato il profilo “civile”.
La Piedigrotta va avanti con il pellegrinaggio religioso, i giochi pirotecnici da terra e da mare, le luminarie, le bancarelle.
Per manifestazioni politiche patriottiche e per il pericolo di un’epidemia di colera, le autorità ne decretano la sospensione. Naturalmente la Madonna di Piedigrotta continua ad essere festeggiata, in maniera spontanea, da lazzari, borghesi e nobili.
Nel 1835 prende forma la Piedigrotta canora che offre alla melodia partenopea il suo trampolino di lancio.
21 'a femmena annura
22 'o pazzo
23 'o scemo
24 ‘e guardie
Il napoletano è una vera e propria lingua e come tale possiede locuzioni , intraducibili alla lettera, che non sono proverbi, ma modi dire, manifestazioni di saggezza popolare.
L’esercito ‘e Francischiello è la locuzione che si riferisce ad un gruppo di persone la cui organizzazione lasci a desiderare, a ricordo dello sbandamento dell’esercito borbonico, dopo la sconfitta di Gaeta.
25 Natale
26 Nannìnella
27 'o cantero
28 'e zizze
29 'o pate d'e ccriature
30 'e ppalle d'o tenente
31 'o patrone 'e casa
32 S'N'E' FUJUTO O' CAPITONEEEE!!!
…….facile ammazzare un capitone, direte voi……. Provateci, se non l'avete mai fatto, e ve ne accorgerete..…..
La prima regola per cucinare il capitone e' semplicissima e rigidissima al riguardo: MAI comprare i capitoni la mattina della VIGILIA, all'acquisto si procede il 23, quando c'e' piu' scelta.
In attesa dell'esecuzione si mettono nella vasca da bagno, per procedere ala cattura ci si arma di strofinaccio intorno alla mano.
E si scatena la caccia. Se siete fortunati, se avete i riflessi pronti - cioe' - e chiudete subito la porta del bagno, ve la cavate con una decina di minuti. Se e' la bestia ad averli piu' pronti di voi, se riesce ad infilarsi in corridoio... beh... sono tavolacci vostri! Fatto che avrete questo (che, badate bene, NON e' un incidente di percorso ma un antico RITO) potrete procedere all'operazione *coltellaccio*.
Capitone nella sinistra, coltellaccio nella destra.
Prima la testa, poi il corpo. La bestia viene tagliata in pezzi di lunghezza uniforme, 5-6 cm. Poi viene strofinata con sale grosso, in modo da togliere la viscosita', sciacquata e parcheggiata sul lavandino dove - ORRORE!!! - continua ad agitarsi per un paio di ore.
Prendete quelle cose viscide e mobili, non pensate al fatto che continuano a muoversi che le loro bocche tentano ANCORA di afferrarvi le dita, e passatele nella farina. Poi padella, olio bollente e sale.
Tutto qua, in tavola bello caldo, dove (dopo un paio di antipasti, due primi, un fritto di mare e chi ne ha piu' ne metta) il coro si alza unanime: "NU'TTENGO CCHIU' FAMEEEE...!!!".
Eggia', il *vero* capitone, quello che ti dice che la cena della Vigilia e' stata una cena come-si-deve, si mangia a Santo Stefano, marinato nell'aceto, "a'scapece". Perche' al suo arrivo in tavola, gia' tutti si sono strafocati al massimo e di posto "proprio nun c'n'sta cchiu'". Lo si sa gia' da prima, questo, tanto che ogni anno arriva lapidaria la frase della mamma "L'anno prossimo basta capitone....!!!". Ma poi, arriva il 23. E ci si ritrova a pensare che, senza capitone, manco "Natale in casa Cupiello" sarebbe la stessa cosa...
33 ll'anne 'e Cristo
Il napoletano è una vera e propria lingua e come tale possiede locuzioni , intraducibili alla lettera, che non sono proverbi, ma modi dire, manifestazioni di saggezza popolare.
Tutt’a Giésù e nient’a Maria è la definizione della distribuzione iniqua di qualcosa fra più persone, nella quale traspare l’integralismo cattolico del popolo napoletano, che sembra voler rimproverare le dottrine protestanti, per il fatto che esse negano alla figura della Madonna la dovuta venerazione.
34 'a capa
35 aucelluzzo
36 ‘e castagnelle
Le nacchere, altrimenti chiamate castagnette dallo Spagnolo, castañuelas, sono degli strumenti a percussione di tipo idiofono con intonazione non ben definita.
Sono costituite da due pezzi di legno duro o avorio a forma di conchiglia che vengono uniti da un cordino, in modo da essere a stretto contatto. Dopo esser state fissate al pollice e all’indice, vengono fatte battere l'una contro l'altra tramite un movimento di apertura e chiusura della mano.
Vengono usate largamente nelle danza folkloristiche spagnole, portoghesi e nell'Italia meridionale, per sottolineare il ritmo della composizione, ma vengono suonate anche dalle danzatrici, che generalmente ne suonano un coppia con ciascuna mano.
37 O' Munaciello
Il personaggio esoterico più noto e temuto-amato dal popolo napoletano è "'o Munaciello", sorta di spiritello bizzarro che si comporta sempre in modo imprevedibile e sul quale sono sorte infinite leggende metropolitane e detti popolari.
È uno spiritello che si mostra sotto forma di vecchio-bambino vestito col saio dei trovatelli accolti nei conventi.
Scalzo, scheletrico, lascia delle monete sul luogo della sua apparizione come se volesse ripagare le persone, in genere fanciulle procaci e allegre, dello spavento provato o di inconfessate (dalle fanciulle) confidenze "palpatorie" che ama a volte concedersi.
Secondo una radicata tradizione "'o Munaciello" era il fantasma di un bambino, nato, nel 1445, dalla relazione proibita di Catarinella Frezza, figlia di un mercante, e Stefano Mariconda, un garzone.Il bambino, adottato dalle suore, fu vestito con un abito da piccolo monaco, per nascondere le sue molte deformità fisiche .Nei vicoli, fu presto chiamato “lu munaciello” e si vide attribuiti poteri sovrannaturali. Se il piccolo monaco indossava il cappuccio rosso era buon augurio ma se compariva con il cappuccetto nero allora portava sfortuna e disgrazie.Oggi si dice che è dispettoso e legato alla casa dove abita. Se prende gli abitanti in simpatia, accontenta i loro desideri, ma guai a contrariarlo...
38 'e mmazzate
39 'a funa n'ganna
40 'a paposcia
41 'o curtiello
42 ‘o cafe’
Napoli e il caffè vivono in simbiosi. Un vero napoletano non può fare a meno del caffè, nell’arco della giornata.
Il caffè ha un’origine antichissima, citato nella Bibbia, da Omero, in altre fonti che si riferiscono alla cultura araba. Anticamente venivano consumate le bacche lungo i viaggi che duravano settimane.
Solo intorno al 1000 furono bolliti in acqua i chicchi di caffè.
Una leggenda narra che un monaco, Abi Ben Omar, rimasto solo durante un viaggio verso Moka perché era morto il suo maestro, fu incoraggiato a proseguire il viaggio da un angelo. Giunto in città, colpita duramente dalla peste, egli pregò per gli ammalati e ne riuscì a guarire molti tra cui la figlia del re. Il monaco s’innamorò della fanciulla, ma il re lo allontanò e lo costrinse a vivere in solitudine sulla montagna, dove soffrì la fame e la sete e perciò chiese aiuto al maestro morto che gl’inviò un uccello dalle piume colorate. Svegliato dal canto dell’uccello, il monaco avanzò verso l’animale e vide un albero con fiori bianche e bacche rosse (la pianta del caffè). Attratto dal colore dei frutti li colse e ne ricavò un decotto che offrì come bevanda salutare ai viandanti. Ben presto si diffuse la voce di questa bevanda nel regno ed il re per ingraziarselo lo accolse di nuovo a corte.
In seguito la chiesa credette che fosse la bevanda del diavolo. Poi si diffuse la voce che la bevanda fosse velenosa, ma, quando re Gustavo III di Svevia firmò una condanna a morte da eseguirsi mediante somministrazione di caffè, la bevanda fu assolta perchè nonostante la cospicua dose i due colpevoli vissero molto a lungo.
Il 1700 - 1800 sono stati secoli d’oro per la bevanda con l’apertura di molti caffè dove si incontravano intellettuali per discutere di polica, attualità, gossip…
Oggi chi vuole assaggiare il vero caffè si reca a Napoli, dove il suo gusto è unico e inimitabile, come ha sostenuto il caro Eduardo nella sua frase:
STU’ CAFE’ E’ ‘NA CIUCCULATA.
43 'onna Pereta fore 'o balcone
44 'e ccancelle
45 'o vino bbuono
Un ottimo vino campano lo si assaggia a Gragnano che perciò è famosa non solo per la pasta, ma anche per il vino.
Il vino di Gragnano è un vino pregiato, rinomato in tutto il napoletano come in tutto il mondo. Il vino di Gragnano era già prodotto all'epoca dei romani ed è decantato da Monsignor Molinari, vescovo del XV secolo che diceva: " vivere vis sanus gragnani pacula bibe", cioè " se vuoi vivere sano, bevi i bicchieri del vino di Gragnano"!!!
Ottenuto dall'unificazione di vari vitigni a bacca rosso: sciascinoso, piedirosso, aglianico ed altre varietà.
Viene coltivato nei comuni di Gragnano, Pimonte, Castellammare ed Agerola. Il Gragnano per il suo carattere vivace risulta un vino molto versatile ed e' solitamente frizzantino.
A proposito delle sue bollicine, Toto' diceva:" se pizzica lo prendi se non pizzica desisti".
Da questa autorevole dichiarazione si puo' evincere quale sia il gragnano d.o.c.
Esame visivo
Colore rosso rubino intenso con spuma esuberante.
Esame olfattivo
Profumo gradevolmente fruttato e vivace.
Esame gustativo
L' aroma fruttato, abbastanza corposo, morbido e frizzante.
46 'e denare
47 'o muorto
48 ‘o muort che pparla
L’assistito è colui che comunica con gli spiriti, ed alla loro assistenza deve la facoltà di conoscere in anticipo i numeri vincenti che dona a suo piacimento.
La gente vede l’assistito come una persona eccentrica, contemplativa e distratta che interrompe i suoi silenzi per parlare in maniera sibillina e oracolare; di solito sono persone disadattate, con accentuato disagio sociale o psichicamente disturbati, frequentemente esercitano attività o mestieri particolari come il sacrestano, il tronaro o il fuochista.
La gente percepisce la loro anormalità o eccentricità e ad essa connette la loro facoltà di parlare con gli spiriti, facendone delle figure credute e rispettate, dotate di notevole prestigio .
l’assistito è un uomo molto potente, viene cercato, circuito, corteggiato da folle di credenti o patiti, gli si fanno regali e si offre denaro per ottenere i numeri.
L’assistito di solito non dà numeri, ma dice poche parole, quasi lasciate cadere per caso, o una frase sibillina, contenente una figura che il giocatore deve sapere cogliere e interpretare: se il numero non esce, è perché il giocatore non ha inteso bene il significato di quelle parole.
49 'o piezzo 'e carne
50 'o ppane
51 'o giardino
vi raccontiamo dei principali parchi e ville pubbliche della città di Napoli: luoghi dove il contatto con la natura, i panorami e la tranquillità possono far momentaneamente dimenticare lo stress e la confusione di una grande metropoli.Villa ComunaleLa Villa Comunale è il lungo giardino pubblico che separa la Riviera di Chiaia dal lungomare di via Caracciolo, e che dona verde e ombra alla passeggiata nei pressi del mare. La villa si estende tra la piazza della Repubblica e la piazza Vittoria, é attualmente recintata, con varchi di accesso laterali e l'ingresso principale in piazza Vittoria.La sua realizzazione risale al 1780 (ma fu poi ampliata e modificata più volte), per volere del re Ferdinando IV di Borbone che, ispirandosi alle "Tuilieres" parigine, volle per sé e per la nobiltà napoletana un luogo di passeggio, di ritrovo e di tranquillità: era vietato l'accesso al popolo, e i viali alberati vennero abbelliti da statue neoclassiche, tempietti, fontane, e da una splendida cassa armonica in ghisa e vetro.All'interno della villa si trovano vari edifici, di cui i principali sono il Circolo della Stampa e la stazione zoologica Anton Dohrn, che ospita l'Acquario più antico d'Europa.Villa FloridianaLa Floridiana è un complesso formato da un grande parco verde e da una villa che ospita il Museo Nazionale delle Ceramiche Duca di Martina; sorge al limite sud della collina del Vomero, è aperta tutti giorni dalla mattina a un'ora prima del tramonto, ed offre un magnifico panorama del golfo di Napoli. Gli ingressi sono due, situati rispettivamente in via Cimarosa e in via Aniello Falcone.La villa risale alla prima metà del XVIII secolo, e nel 1816 Ferdinando I di Borbone la acquistò per regalarla come residenza di villeggiatura alla moglie morganatica, Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia, a cui deve tuttora il nome. Dopo l'acquisto, il sovrano incaricò l'architetto toscano Niccolini di riadattare in stile neoclassico la preesistente palazzina, e fece ampliare ed arricchire i giardini con oltre 150 specie vegetali, sotto la supervisione di Friedrich Dehnhardt, all'epoca direttore dell'Orto Botanico di Napoli. I lavori si conclusero nel 1819. A quella data, il complesso comprendeva due ville (denominate rispettivamente Villa Floridia e Villa Lucia, e separate da un vallone), un teatrino all'aperto, un tempietto circolare a colonne doriche e cupola, finte rovine, fontane, statue e serre, tutto in stile neoclassico. Dopo la morte del re e della duchessa, il complesso fu ereditato dai figli di questa, e villa Lucia venne venduta a privati, insieme ad un'area meridionale del parco. La Floridiana fu poi acquistata dallo stato nel 1919, e dal 1931, nella palazzina, è esposta una delle più grandi e antiche collezioni di arti decorative europee e orientali (oltre 6000 pezzi), donata dal duca di Martina alla città di Napoli.Il Parco Virgiliano Il Parco Virgiliano sorge, con un sistema di terrazze, sulla sommità del Capo Posillipo, estrema punta del Golfo di Napoli; i panorami che dai vari angoli del parco si possono ammirare sono letteralmente mozzafiato: il golfo di Napoli e quello di Pozzuoli, il Vesuvio, Sorrento, Capri, Nisida, Bagnoli, Capo Miseno, Procida e Ischia sono da qui completamente a disposizione dello sguardo del visitatore.Il Parco è stato sottoposto, tra il 1999 e il 2002 e con una spesa di 5 milioni di euro, a un profondo restyling.................Il Bosco di CapodimonteIl parco di Capodimonte, polmone verde della città di Napoli, si estende su un'area di circa 130 ettari, popolata da oltre 400 specie vegetali con imponenti alberi secolari. Il bosco costituiva la riserva di caccia voluta da Carlo III di Borbone nel 1734, e circonda l'omonima reggia, oggi sede di un ricco museo nazionale. Il piano originario del parco fu opera dell'architetto Ferdinando Sanfelice, e l'impianto delle specie arboree era adeguato ai diversi tipi di selvaggina destinati a popolarlo; tra gli alberi più pregiati e antichi, si trovano tuttora olmi, querce, tigli, castagni, cipressi, pini. Il piazzale d'ingresso è opera di Ferdinando Fuga, cui si deve anche la sistemazione dei quattro viali principali e del viale di mezzo. All'interno del bosco, oltre alla reggia, sorgono altri fabbricati destinati ad attività di corte, a fabbriche, a funzioni di culto, ad usi agricoli e zootecnici.Villa PignatelliLa villa Pignatelli fu fatta costruire, in stile neoclassico e con un ampio parco, da sir Ferdinand Acton tra gli anni 1826 e 1830, col contributo dell'architetto Pietro Valente; è situata lungo la riviera di Chiaia, di fronte alla attuale Villa Comunale, zona che ebbe il suo sviluppo proprio in quel periodo storico. Dopo gli Acton, la villa fu proprietà della famiglia Rothschild, per poi essere venduta nel 1867 ai Pignatelli Cortes d'Aragona; questi ne fecero prestigioso luogo d'incontro di regnanti e aristocratici di tutta Europa, e la mantennero fino alla donazione allo stato italiano, nel 1955, ad opera della principessa Rosina Pignatelli: questa ne volle così fare la sede di un museo, l'attuale museo Diego Aragona Pignatelli Cortes, che ospita dal 1998 la pinacoteca e altre collezioni del Banco di Napoli.Della villa si possono visitare i giardini anteriore e posteriore, alcune sale arredate con la mobilia originale, e le sale ospitanti le opere d'arte, per lo più di provenienza napoletana, e di epoca compresa tra il 1500 e la prima metà del '900.L'orto botanico di NapoliIl Real Orto Botanico di Napoli fu fondato nel 1807 in un'area ai piedi della collina di Capodimonte, a lato del Real Albergo dei Poveri; oggi si tratta di una struttura universitaria, della facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, ed è sicuramente il più importante in Italia per il numero e la qualità delle specie presenti. Al primo allestimento contribuirono botanici partenopei del calibro di Vincenzo Petagna e Michele Tenore, e, nel decreto di fondazione firmato da Giuseppe Bonaparte, si indicava come scopo della struttura l'istruzione del pubblico, lo sviluppo delle arti mediche, dell'agricoltura e dell'industria.Oggi l'Orto botanico di Napoli conta circa 25mila esemplari di 10mila specie diverse, provenienti da ogni parte del mondo. Il Parco Vergiliano a PiedigrottaDa non confondere col più noto e frequentato Parco Virgiliano, quest'area abbarbicata ai piedi del costone tufaceo di Posillipo è stranamente poco conosciuta, persino dai napoletani. Eppure, nelle poche centinaia di metri quadrati del piccolo parco di Piedigrotta (a pochi metri dalla stazione di Mergellina), sono racchiuse tanta storia e tante suggestioni.Anzitutto, va citato il mausoleo-tomba di Virgilio, a cui si deve la denominazione: il sommo poeta visse a lungo a Napoli, e in epoca medioevale la popolazione lo considerò il patrono della città, attribuendogli poteri magici e, tra l'altro, la leggenda dell'uovo che da il nome al Castel dell'Ovo. La sua tomba fu perciò un vero e proprio luogo di culto, anche se non vi è alcuna certezza che si tratti proprio del sepolcro del poeta. Il mausoleo si trova in posizione elevata, all'imboccatura della Crypta Neapolitana ed è detto colombario, per le numerose nicchie scavate al suo interno. Una stretta scalinata nel tufo permette di raggiungerlo, nonostante la posizione impervia.Un po' più giù, a poca distanza dall'ingresso, c'è invece la tomba di un altro grande poeta, che trascorse anch'egli gli ultimi anni della sua vita in queste terre: Giacomo Leopardi. Questi fu sepolto in principio nella chiesa di San Vitale a Fuorigrotta, nonostante fosse morto nel corso di un'epidemia di colera, per cui, senza l'intervento del conte Ranieri, sarebbe finito in una fossa comune. Nel 1934, quando il Parco Vergiliano fu costituito, le spoglie del poeta furono trasferite qui, e furono posti il monumento e la lapide che consacra il sepolcro del poeta come monumento nazionale. Il Parco dei CamaldoliSituato "sul tetto di Napoli", in cima alla più alta e panoramica collina della città, il Parco dei Camaldoli trae la sua denominazione dal vicino Eremo cinquecentesco, all'interno del quale i monaci lavoravano i prodotti della natura circostante, vivendo una vita di clausura e semplicità.Inaugurato nel 1996, il parco copre, con la sua superficie boschiva costituita prevalentemente da castagni, lecci e macchia mediterranea, un'estesa area (circa 135 ettari) della collina, a partire dalla strada superiore (via dell'Eremo). La costituzione del parco mira a salvaguardare un territorio di grande valore paesaggistico e ambientale, in un contesto purtroppo caratterizzato da una disordinata -e spesso abusiva- espansione edilizia.
52 'a mamma
53 'o viecchio
54 'o cappiello
55 'a museca
56 'a caruta
57 ‘o scartellato
Nei quartieri più popolari di Napoli, può accadere di imbattersi in uno scartellato, che, approfittando della superstizione innata nella gente napoletana, entra nelle botteghe e brucia incenso recitando la formula : faccio stu’ bello ‘ncienzo apprimm’a a ‘sta Mamma e po’ a ‘sta bella casa, ca ‘o bbene pe’ ccà se trase e po’ a ‘sta bella porta, ca ‘o bbene pe’ ccà se porta. Venite gente da luntana via, arricchi’ ‘sta casa mia. Uocchie, maluocchie e frutticiell’ ‘e ll’uocchie : ascite maluocchie sicche ca ve ne caccio cu’ ‘o ‘ncienzo benedetto.
Frutticielle all’uocchie sono le iridi, rotonde e colorate, come piccoli frutti, che per la loro capacità di far penetrare lo sguardo, sono ritenute la sede dell’influsso malefico degli invidiosi.
58 'o paccotto
59 'e pile
60 ‘o lamento
Le parenti di S. Gennaro
Un antico gruppo di parenti , di generazione in generazione, si era tramandato l’impegno di stimolazione affinché il loro santo patrono operasse il miracolo atteso con ansia da tutta la città, perché quando il sangue non si era voluto sciogliere terribili sciagure erano accadute.
Le vecchie parenti di S. Gennaro cantilenavano antichi ritmi per scandire un tempo che ormai non conoscevano più nella sua rigorosa struttura di battute, ma che con aggiunte e deformazioni operate per l’avvenuta ignoranza, non possedevano più il giusto rigore rituale.
Queste appassionate popolane costituiscono una nota folkloristica che stupisce e diverte i presenti all’inenarrabile bagno di folla che si crea in cattedrale a Napoli in attesa del miracolo.
61 'o cacciatore
62 'o muorto acciso
63 a sposa
64 'a sciammeria
con questo termine si indica una lunga giacca con coda, una gentiluomo, oppure l'atto sessuale.
Deriva dallo spagnolo "chamberga" poiche' durante il Risorgimento a Benevento il partito della "giamberga" era quello degli aristocratici mentre quelli della "giacchetta" erano i rivoluzionari. Quindi da allora per indicare coloro che si atteggiano da signori si dice che indossano una "sciammeria".
La connessine con l'atto sessuale la si puo' trovare, appunto, nella baldanza e nel vanto di una "sciammeria" che alcuni uomini si "fanno".
65 ‘o chianto
Il napoletano è una vera e propria lingua e come tale possiede locuzioni , intraducibili alla lettera, che non sono proverbi, ma modi dire, manifestazioni di saggezza popolare.
Locuzione famosa a Napoli Santa Lucia mia , ‘a ccà te veco!.., invocazione pronunciata nei confronti di chi non si avvede della presenza di qualcosa o di qualcuno che gli sta sufficientemente vicino.
Come tutti sanno, la Santa è protettrice della vista o come si dice a Napoli, ‘a vista ‘e ll’uocchie, meno noto invece è il legame tra la santa e la mitica sirena Partenope.
Parthenops in greco vuol dire occhio di vergine ( proprio come quello di Santa Lucia ) e la leggenda vuole che il corpo della sirena, privo di vita, sia andato ad arenarsi proprio sulla spiaggia di S. Lucia.
Questo dimostra lo sforzo della religione cristiana di modellare fatti e figure del nuovo credo su quelli del mondo pagano.
66 'e zitelle
Lo sapevate che .........a dispetto del significato del nome "zitella" = ragazza non sposata, in siciliano zita significa "fidanzata"? E che questo termine probabilmente deriva dallo spagnolo cita ("appuntamento")?
67 ‘o totaro int’ ‘a chitarra
Una tipica ricetta che si usa fare in costiera amalfitana
Totani e patate
ingredienti:
- totani
- patate
- pomodorini
- vino bianco
- aglio
- prezzemolo
- peperoncino
- olio extravergine di oliva
Esecuzione:
Pulite e lavate i totani, tagliateli a rondelle
Soffriggete l'aglio nell'olio, una volta imbiondito eliminatelo, aggiungete i totani e fateli rosolare.
Quando si saranno asciugati abbastanza, tirateli con un po' di vino bianco. Aggiungete le patate tagliate a tocchetti e i pomodori , un po' d'acqua e lasciate che il tutto si cuocia a fuoco lento e con la pentola coperta, fino a quando i totani non avranno raggiunto una consistenza morbida.
Aggiungete appena tolti dal fuoco abbondante prezzemolo e peperoncino (secondo il vostro gusto).
68 'a zuppa cotta
69 sott'e 'ncoppa
70 ‘o palazzo
Palazzo Donn'Anna
Palazzo Donn'Anna è un grosso palazzo grigio che si erge nel mare di Posillipo.
Non è diroccato, ma non è stato mai finito, le sue finestre alte, larghe, senza vetri, rassomigliano ad occhi senz'anima.
Di notte il palazzo diventa nero e cupo e sotto le sue volte s'ode solo il fragore del mare.
Tanti anni fa, invece, da quelle finestre splendevano le vivide luci di una festa, attorno al palazzo erano ormeggiate tante barchette adorne di velluti e di lampioncini colorati. Tutta la nobiltà spagnola e napoletana accorreva ad una delle magnifiche feste che, l'altera Donna Anna Carafa, moglie del duca di Medina Coeli, dava nel suo palazzo.
Nelle sale andavano e venivano i servi, i paggi dai colori rosa e grigio, i maggiordomi; giungevano continuamente bellissime signore dagli strascichi di broccato e riccamente ingioiellate, arrivavano accompagnate dai mariti o dai fratelli, qualcuna, più audace, arrivava con l'amante.
Sulla soglia aspettava i suoi ospiti Donna Anna di Medina Coeli nel suo ricchissimo abito rosso tessuto in lamine d'argento. Era sprezzante ed orgogliosa, godeva senza fine nel ricevere tutti quegli omaggi, tutte le adulazioni. Era lei la più ricca, la più nobile, la più potente, rispettata e temuta.
In fondo al grande salone era montato un teatrino per lo spettacolo. Tutta quella eletta schiera d'invitati doveva assistere prima alla rappresentazione di una commedia, poi ad una danza moresca ed infine avrebbero avuto inizio le danze che si sarebbero protratte fino all'alba.
Tratto da "Leggende napoletane" di Matilde Serao
71 l'ommo 'e merda
72 ‘a meraviglia
IL MIRACOLO
Purtroppo i miracoli sono caratterizzati dall’unicità , però accanto ad ineffabili miracoli che hanno la caratteristica dell’unicità o comunque dell’imprevedibilità del loro verificarsi, se ne indica un altro che si ripete con sorprendente regolarità.
Nel Duomo di Napoli, come già detto, sono custodite due ampolle ermeticamente chiuse, contenenti , secondo la tradizione il sangue del Santo Patrono Gennaro. Questo sangue, che si presenta raggrumito, ha la singolare caratteristica di liquefarsi a scadenze regolari.
Il fenomeno della liquefazione si ripete due volte l’anno : il sabato precedente la prima domenica di maggio, ricorrenza della traslazione del corpo di San Gennaro da Pozzuoli a Napoli e il 19 settembre, anniversario del martirio. Comunque l’evento non è così regolare dopo una solenne processione con la reliquia, iniziano fervidissime preghiere nel Duomo di Napoli dove possono trascorrere molte ore o giorni prima che il fenomeno si presenti. E in questo caso, le preghiere assumono accenti di ansia e di impazienza, per trasformarsi poi in vere e proprie esortazioni.
Ritornando a San Gennaro pare che quello del sangue che da solido diventi liquido non sia l’unico evento miracoloso attribuito al santo: la Passione Vaticana descrive di un ordine da parte del prefetto Timoteo di uccidere durante le spietate persecuzioni di Diocleziano, Gennaro per il suo ostinato rifiuto a rinnegare la fede cristiana; ma le lame dei coltelli dei carnefici, pur attraversandogli il corpo, non gli provocarono alcun male. La Passione Vaticana inoltre ricorda il tentativo dello stesso Timoteo di dare Gennaro in pasto alle belve ma ancora una volta il prefetto venne sconfitto perché introdotte dell’arena, di Pozzuoli, le belve divennero mansuete: un orso si avvicinò allora vescovo di Benevento che lo benedisse e lo accarezzò.
73 'o spitale
74 'a rotta
Napoli è una città da scoprire , ricca di paesaggi incantevoli che si ammirano a volte intrufolandosi in grotte e cunicoli suggestivi, come la grotta di Seiano, detta così perché, forse, fatta costruire da Seiano, il celebre ministro di Tiberio.
E’ una galleria artificiale che, traforando la collina di Posillipo, congiunge Coroglio con il vallone della Gaiola. La lunghezza del traforo è di circa 770 metri con una sagoma variabile sia in altezza che in larghezza. Tre cunicoli secondari si aprono sul lato sud della galleria, fornendo luce e aerazione.
Si tratta di un'opera grandiosa, come le altre simili che furono realizzate tra la fine della repubblica e la prima età imperiale per sistemare la viabilità in tutta la zona napoletana-flegrea, come la Crypta Neapolitana tra Fuorigrotta e Piedigrotta e il traforo tra Cuma e il lago d'Averno, le cui progettazioni sono attribuite al grande architetto Cocceio, e che dimostrano le grandi capacità costruttive e progettuali e le tecniche avanzate di rilevamento e misurazione raggiunte dall'ingegneria romana.
Il ritrovamento della galleria, di cui dopo il XVI secolo si era perso il ricordo, avvenne nel maggio del 1840 nel corso del tracciamento di una strada che poi non fu più realizzata.
Il re Ferdinando II di Borbone diede subito ordine di riattivare l'antico passaggio e i lavori, lunghi, difficili e pericolosi a causa delle frane e dell'esalazione di gas mefitici furono portati a termine nel 1841. Da allora la Grotta di Seiano fu inclusa negli itinerari frequentati dai turisti colti in visita a Napoli.
Gli eventi bellici della seconda guerra mondiale diedero un pesante colpo alla conservazione del monumento: l'area archeologica fu sequestrata dai comandi militari e adibita a rifugio per gli abitanti della zona industriale di Bagnoli, soggetta per lunghi giorni ai pesanti bombardamenti delle truppe alleate.
Dopo tale utilizzo improprio e la caduta negli anni Cinquanta di alcune frane che ne ostruirono in parte gli ingressi, per il monumento ci fu di nuovo un lungo periodo, quasi un trentennio, di abbandono e di oblio terminati con i lavori fatti in occasione del vertice dei G7 che ci hanno permesso di poter visitare questi splendidi luoghi.
75 pullecenella
L'origine della maschera tradizionale partenopea è lontana ed incerta, così pure il significato del suo nome.
C'è chi lo vuole discendere da ' Pulcinello ' cioè piccolo pulcino per via del suo naso adunco, chi invece propende per ' Puccio d'Aniello ' un villano di Acerra del '600 che dopo aver preso in giro una compagnia di commedianti girovaghi si unì a loro come buffone.
La maschera ha rappresentato e rappresenta tuttora la ' plebe napoletana ' da sempre oppressa dai vari potenti che si sono succeduti, affamata e volgare, smargiassa, codarda e dissacrante.
Molti attori hanno impersonato sulla scena il personaggio di Pulcinella ma il più famoso di tutti è stato Antonio Petito trionfatore sul palcoscenico del San Carlino che, nonostante fosse quasi analfabeta, scrisse alcune commedie di grande successo che avevano come protagonista lo stesso Pulcinella.
76 'a funtana
Le fontane di Napoli
Nella storia di Napoli, le fontane hanno avuto grande importanza, con un duplice ruolo: anzitutto quello di mezzo per la distribuzione delle acque, sorgive o provenienti da acquedotti, alla popolazione, e, in seguito, anche strumento di celebrazione del potere e della generosità dei sovrani che sul trono di Napoli si succedevano, e che ne promossero la costruzione in gran numero e in punti diversi della città.
Molte fontane di cui la storia ci riferisce non esistono più, altre sono state più volte modificate, razziate o spostate, ma comunque ne rimangono oggi moltissime:
Fontana del Nettuno, la sua costruzione risale al periodo del 1595-1599. La struttura, gli elementi decorativi e la collocazione della fontana hanno subito molti cambiamenti nei secoli. Nel 2000 è stata restaurata e riportata nell'antica posizione in via Medina, dove oggi si trova.
Fontana del Gigante, o dell'Immacolatella risale agli inizi del Seicento e si trova nella bella curva tra via Partenope e via Nazario Sauro, a pochi passi dal Castel dell'Ovo.
Fontana del Sebeto (o del Fonseca) 1635, si trova alla fine di via Caracciolo, in corrispondenza del largo Sermoneta, ai piedi di via Posillipo, dal 1939.
Fontana della Sirena metà dell'Ottocento. nel 1924, contestualmente all'apertura della galleria Laziale, che collega piazza Sannazaro con Fuorigrotta, fu portata nel luogo attuale, si trova nel mezzo di piazza Sannazaro, ed è stata di recente restaurata e dotata di un efficace sistema di illuminazione.
Fontana detta "del Carciofo" fatta costruire sul finire degli anni Cinquanta dall'allora sindaco della città, Achille Lauro, nel mezzo di piazza Trieste e Trento, a pochi metri da piazza Plebiscito, dal palazzo reale, dalla Galleria Umberto I e dal Teatro San Carlo.
Fontana di Monteoliveto, o di Carlo II, barocca, fatta costruire, in via Monteoliveto, dal viceré Don Pietro Antonio d'Aragona, per celebrare il sovrano di Spagna. I lavori iniziarono nel 1669 e si protrassero per vari anni, vedendo l'alternarsi di diversi scultori e molti ripensamenti sulle modalità di raffigurazione del sovrano, allora adolescente.
77 ‘e riavule
Il Diavolo di Mergellina
“ si bella e ‘nfama comm’ ‘o riavule ‘e Margellina….” Si diceva alle ammaliatrici del celebre borgo marinaro e forse qualche vecchia donna ancora lo scaglia alla volta di nipotine sfacciate e crudeli.
L’espressione si riferisce ad un episodio di “affatturazione” accaduto nella prima metà del Cinquecento.
Una bellissima giovane donna napoletana, della quale si conosce solo il nome, Vittoria (ma si sa che si trattava di una D’Avalos, novizia del convento di Sant’Arcangelo di Baiano) invaghitasi del vescovo di Ariano, Diomede Carafa, di bell’aspetto e di affascinante eloquio, per il quale abbandonò l’idea del noviziato, incaricò una famigerata fattucchiera di operare la fattura d’ammore sull’ignaro prelato.
All’improvviso Don Diomede si sentì attratto dalla bellissima fanciulla bionda che gli aveva offerto alcune zeppulelle e un biancomangiare, fatti di sue mani per compiacere la sua tavola ed essere così menzionata nelle sue preghiere al fine di ottenere la grazia da San Raffaele per trovare marito.
Non erano insolite le cortesie usate dalle fanciulle delle più nobili famiglie napoletane ai prelati in segno di elemosina per i poveri e l’ignaro prelato ingerì con gusto l’elemosina mandando ai poveri si spera una benedizione e un grato pensiero.
Da quel giorno l’immagine sorridente della bella Vittoria divenne un tormento pericoloso. Un sospetto di affatturazione spinse il vescovo a rivolgersi ad un vecchio monaco procidano, esorcista segreto del vescovo di Napoli.
Il vecchio frate aveva un grande amore per San Michele Arcangelo e un solo odio per il demonio, che scacciava dalle anime dei poveri posseduti.
Ascoltò, pregò, meditò ed escogitò la controfaccia del sortilegio. Un valente maestro di pittura avrebbe dovuto dipingere un San Michele che trafiggeva il dragone-satana che aveva il volto di Vittoria. L’opera doveva essere protetta in un luogo sacro perché soltanto quella pittura trattata con l’aspersione dell’acqua santa poteva accumulare le controforze necessarie.
Ancora oggi, sul primo altare a destra della chiesa di Santa Maria del Parto a Mergellina si osserva un san Michele che uccide un bellissimo demone e si legge la scritta: fecit victoriam alleluia 1542, Carafa.
78 ‘a bella femmena
Parthenope
Viveva, un tempo, sulle coste ioniche della Grecia, una bellissima fanciulla di nome Parthenope, che in greco antico vuol dire vergine.
Per la sua grande bellezza veniva addirittura paragonata alle dee Giunone e Minerva; aveva una bella fronte regolare, grandi occhi neri, la bocca voluttuosa, carnagione candida e un corpo dalle forme armoniose.
Amava sedersi sugli scogli e guardare il mare, sognando e fantasticando di terre lontane, sconosciute.
Cimone ne era innamorato e lei lo ricambiava, ma suo padre l'aveva promessa ad Eumeo e ostacolava in ogni modo il loro amore.
Un giorno Cimone le chiese di fuggire lontano per potersi amare liberamente ed ella acconsentì ad abbandonare la sua terra e le amate sorelle.
Dopo un viaggio lunghissimo i due innamorati approdarono finalmente sul lido che li aspetta già da mille anni e con il loro amore nascono i fiori, fioriscono milioni di nuove piccole vite.
La terra nata per l'amore, che senza amore è destinata a perire, bruciata e distrutta dal suo stesso desiderio splende ora rigogliosa. Dalla Grecia giunsero, per amore di lei, il padre e le sorelle, amici e parenti che vennero a ritrovarla; la voce si sparse dovunque, fino al lontano Egitto, fino alla Fenicia, dovunque si raccontava di una spiaggia felice dove la vita trascorreva beatissima tra il profumo dei fiori e dei frutti e nella dolcezza profumata dell'aria.
Su fragili imbarcazioni accorrono colonie di popoli lontani che portano con loro i propri figli, le immagini degli dei, gli averi.
Si costruiscono capanne, prima sulle alture e a mano a mano fino in pianura; sorge un'altra colonia su una collina accanto e il secondo villaggio si unisce col primo; si tracciano le vie, fioriscono le botteghe degli artigiani, si costruiscono le mura.
Sorgono due templi dedicati alle protettrici della città : Cerere e Venere.
Parthenope è ormai donna e madre di dodici figli, è la donna per eccellenza, la madre del popolo, la regina umana e clemente, da lei si appella la città, da lei la legge, da lei il costume, da lei il costante esempio della fede e della pietà.
Una pace profonda e costante è nel popolo su cui regna Parthenope, la più bella delle civiltà, quella dello spirito innamorato, il più grande dei sentimenti, quello dell'arte; la fusione dell'armonia fisica con l'armonia morale è l'ambiente vivificante della nuova città.
Tratto da "Leggende napoletane" di Matilde Serao
79 'o mariuolo
80 'a vocca
81 'e sciure
82 'a tavula 'mbandita
83 'o maletiempo
84 ‘a cchiesa
Il napoletano è una vera e propria lingua e come tale possiede locuzioni , intraducibili alla lettera, che non sono proverbi, ma modi dire, manifestazioni di saggezza popolare.
‘a messa add’’e Turchine, per esempio, si dice che sia andato ad ascoltarla chi arriva sempre in ritardo agli appuntamenti, perché prima dell’istituzione della messa vespertina festiva, nella chiesa della Pietà dei Turchini, in via Medina, a Napoli, alle 14.30 si celebrava l’ultima messa domenicale, la partecipazione alla quale determinava il ritardo in tutte le altre attività della giornata.
Cenni chiesa Pietà dei Turchini
Il nome è derivato dalla tunica azzurrina dei bambini ospiti dell'istituto, in cui venivano istruiti soprattutto nell'arte, nella musica e nel canto ( tra gli allievi dell'istituto vi fu anche Alessandro Scarlatti, Giovanni Paisiello e Giovan Battista Pergolesi) ed ancora oggi la struttura è famosa per le sue attività concertistiche. La chiesa fu eretta nel 1592 ed ultimata nel 1595; mentre venne ampliata tra il 1633-1639, quando venne aggiunta la cupola, l'abside ed il transetto. L'interno si presenta con un'unica navata e cappelle laterali, l'edificio religioso è molto gradevole, essendo stato decorato dai maggiori artisti presenti in quel tempo a Napoli. Le opere principali che vi custodisce all'interno sono:
due dipinti di Luca Giordano nella terza cappella a destra;
una tela di Battistello Caracciolo raffigurante la Sacra Famiglia del 1617;
San Giacinto passa il Boristene e Santa Rosa da Lima vede la Madonna.
Nella chiesa è stata conservata una Deposizione dello stesso Luca Giordano 1660-1665.
La facciata è del 1769-70.
85 ll’aneme ‘o priatorio
Si crede che i morti conoscano il futuro e possano comunicarlo attraverso i sogni e sembra che questa facoltà sia attribuita in modo particolare ad alcune categorie di morti, tra cui le anime del purgatorio, ovvero le anime abbandonate, i cui resti umani, rimasti inidentificati, si conservano nell’area napoletana, nei cimiteri e nelle catacombe che una volta erano extra moenia o negli ipogei di antiche chiese.
Il culto delle anime del purgatorio si fonda su un rituale di adozione: una persona sceglie un teschio dal mucchio anonimo e se ne prende cura o perché l’anima gli è apparsa in sogno e gli ha indicato il suo cranio o per ispirazione diretta. Il teschio sarà quindi oggetto di cure, preghiere e tributi; gli si chiedono grazie e lo si colloca in una cassetta di legno costruita per ex voto. Da quel momento il teschio, isolato dal mucchio anonimo, avrà una identità e sarà conosciuto da tutti con il nome del devoto, di cui diventa una sorta di spirito protettore.
Alcune anime possono avere un’identità indipendente dal devoto e una propria storia.
Al cimitero delle fontanelle per esempio ancora negli anni sessanta si poteva vedere il teschio del cabalista “ Don Francisco”, che di notte mandava ai suoi fedeli, in attesa al cancello, le ombre che rivelavano i numeri.
Alla base del culto si è dunque innestato un meccanismo di scambio, i devoti si prendono cura dei teschi, dicono preghiere, raccolgono elemosine e fanno offerte in suffragio delle anime purganti per alleviare le loro pene; le anime diventano protettrici dei devoti, e fanno loro grazie, rendono giustizia, fanno previsioni su matrimonio, gravidanza, salute, affari e danno o suggeriscono i numeri vincenti del lotto.
86 'a puteca
BOTTEGA , negozio, derivi dal latino APOTHECA e greco APOTHEKE ...
nel medioevo e nel rinascimento era il laboratorio di un artista famoso, frequentato da aiutanti e allievi.
A Napoli le botteghe più caratteristiche da visitare sono abitate dai vecchi artigiani di un tempo e si trovano dislocate in ogni angolo della città.
Alcune botteghe sono diventate famose attivita' commerciali conosciute in tutto il mondo , ma non hanno perso la loro caratteristica bellezza legata al passato , alla storia e alla tradizione da cui sono nate.
Si ricordano tra tutte la bottega del Maestro Ombrellaio Mario Talarico e Marinella Cravatte.
87 'e perucchìe
88 'e casecavalle
Il Caciocavallo podolico è il re dei formaggi bovini meridionali. Il suo latte proviene da razza bovina Podalica, una razza rustica e robusta allevata perchè capace di trainare carri e aratri ma anche perchè vive all’aperto tutto l’anno senza particolari cure dell’uomo. Il latte che produce è poco, ma di gran valore, con note di erbe sempre diverse a seconda della stagione o dei pascoli dove si nutre, difatti alterna a suo piacimento graminacee, foraggere, malva, ortica, germogli di rovo, biancospino, ma anche frutti di bosco come fragole e mirtilli che conferiscono al formaggio un colore paglierino o giallo intenso e un profumo particolare.
Il caciocavallo podolico viene affinato e stagionato al punto giusto nelle apposite cantine fino a 3-4 mesi. La consistenza è quella classica dei formaggi a pasta filata ma diviene friabile e scagliosa con la stagionatura.
Non meno pregiato è il famoso Provolone del monaco di Vico Equense, che deve il suo nome, secondo la leggenda, a un casaro locale, detto u` muonaco, per il suo aspetto mite e fratesco, gran consolatore di anime e - si narra - di corpi vedovili.
Questo commovente provolone, del peso di circa 1,5-3 kg, e la summa del concetto di tipicità. Viene ancora oggi prodotto, in quantità limitatissime, esclusivamente a Vico Equense, sulla penisola sorrentina, col latte della vacca Agerolese, a resa quantitativa bassa, ma dalle qualità organolettiche superiori. I pascoli sono quelli del Monte Faito, in fronte al mare.
E` pronto in un mese, ma può essere stagionato, nelle grotte di tufo della zona, fin oltre i due anni, quando assume un sapore decisamente piccante, senza mai prevaricare la complessa varietà degli aromi.
89 ‘a vecchia
Carnevale a cavallo ‘a vecchia
Anticamente a Napoli, per festeggiare l’inizio del periodo della Quaresima, si svolgeva il rituale del “Carnevale a cavallo ‘a vecchia”.
Alcuni figuranti rappresentavano, con l’ausilio di due gambe finte incrociate all’altezza del ventre, subito al di sotto di una finta testa di strega, l’antica maschera a cavalcioni della ghignante vecchia sdentata.
Il figurante, che era vestito nella parte superiore del corpo (testa, braccia e torso )da pulcinella, sembrava terminare nelle gambe incrociate sulle spalle della finta vecchia, continuava, invece, nella parte inferiore vestito da donna.
Questa particolare maschera era l’unico accenno al Carnevale ( Pulcinella ) che si accavallava alla Quaresima ( l’orrenda vecchiaccia ).
A Napoli l’inizio di un periodo di austerità penitenziale nasceva divertito con codazzo di scugnizzi e lazzari schiamazzanti e invadenti.
Davanti ai bassi popolari, dove la maschera si fermava, venivano offerti ‘e salatielle ( lupini inteneriti nell’acqua e conditi con il sale ) e il vino di Gragnano.
90 'a paura
x
SIGNIFICATO DEI NUMERI